VITAMINA D

 

Dottore, è vero che chi ha la vitamina D ai livelli bassi, si ammala più facilmente anche di COVID?

R: è stata dimostrata una correlazione significativa tra deficit di Vitamina D ed aumentato rischio infettivo delle vie respiratorie, sin dalle precedenti pandemie SARS ed Ebola. Tuttavia i dati si limitano ad osservazioni del nesso causa-effetto senza avere ad oggi robuste evidenze scientifiche.
Molto probabilmente la chiave di lettura del beneficio di adeguati livelli di Vitamina D può essere individuata nel suo potente ruolo antiinfiammatorio ed immunostimolante ammettendo che l’effetto antiossidante da sempre riconosciuto alla vitamina D è utile anche in termini di più efficace protezione dal rischio di complicanze cardiovascolari. Sappiamo ormai che il danno da aterosclerosi è la tappa finale di elementi proinfiammatori in continua evoluzione a discapito della normale funzione endoteliale (parete dei vasi sanguigni) e gli studi clinici durante questa pandemia hanno evidenziato come alla base degli eventi più acuti della infezione da Sars-Cov2 vi fosse proprio l’iperespressione di citochine infiammatorie (vedi IL6) per cui è ragionevole dedurre che fare prevenzione adoperando strumenti limitanti i meccanismi della flogosi possano costituire un contributo di difesa.

In che alimenti la troviamo?

R: generalmente la fonte “più ricca” di Vitamina D è la costante esposizione alla luce solare (UVB). Tra gli alimenti è raccomandato il consumo di pesce azzurro, salmone e pesce spada, aringhe e sardine, burro e tuorlo d’uovo. Poche tracce nelle carni.

E’ sufficiente assumerla con l’alimentazione o bisogna integrarla ?

R: la questione va affrontata tenendo conto i nostri stili di vita e le abitudini dietoalimentari che giocoforza ci espongono a scarso assorbimento di Vitamina D per ridotta esposizione al sole e ridotto apporto alimentare. Sappiamo che nella popolazione italiana, soprattutto nelle regioni del Centro-Nord, la prevalenza di ridotta Vitamina D è molto frequente rispetto ad un cutoff di normalità pari almeno a 30 ng/mL. Considerando che la prevalenza di insufficienza (se non addirittura di carenza quando <20 ng/mL) è stata osservata maggiore soprattutto nei soggetti COVID+ sintomatici (circa il 60% dei casi diagnosticati durante il 2020) è ragionevole pensare che l’integrazione sia necessaria ovviamente dopo la determinazione dei lievlli base-line conseguente valutazione del medico curante e/o dello specialista.

Cosa succede se ne assume troppa?

R: l’accumulo dei livelli di Vitamina D per valori >100 ng/mL è associata a rischio di nefrotossicità mediata anche da una possibile condizione di ipercalcemia. Si è anche visto che la ipervitaminosi D è un fattore prognostico sfavorevole per le complicanze delle malattie cardiovascolari determinando una possibile calcificazione precoce di eventuale placca ateromasica.

Appurato che l’esposizione al sole aumenta i livelli di vitamina D, ha qualche suggerimento in merito ?

R: Le raccomandazioni fornite dalle società scientifiche (in modo particolare in dermatologia) indicano maggiormente la “costanza” giornaliera di esposizione alla luce solare e per breve periodo. Sconsigliato di trascorrere molte ore al sole ma confinate in periodi discontinui. Possibilmente dovrà poi prevalere il buon senso di evitare le ore più calde e la maggior dermotossicità soprattutto su fototipi chiari, bambini, avendo peraltro la cura di proteggere formazioni (qualsiasi!) nevocitiche.